Nella sua casa in Viale Cavour, 2014
Non mi accompagna solamente l’umana malinconia per la
scomparsa di una persona la cui amicizia ha attraversato la mia vita, ma
anche la consapevolezza, com’è per tutti, che quella era davvero una persona
straordinaria. Il cui enorme bagaglio donato alla città in primis, ma con
lei all’intero mondo dell’arte, sarà per sempre un capitale di cultura che ha
dato e darà frutti.
Col suo grande
carisma, per me da ragazza è stato un vero faro attrattivo. A volte lo andavo a trovare a casa sua, in
fondo a Corso Ercole d’Este. Gli avevo dato il ruolo di confidente.. illuminato,
come mi è stato anche, negli stessi anni, Toni Cibotto.
Sono emozioni e ricordi troppo lontani, ma comunque indimenticabili.
Purtroppo anche Cibotto,
che amava Ferrara e per la quale aveva creato il Premio Estense, e il mio
amatissimo amico Carlo Bassi, poi, ci hanno lasciati orfani della loro luce e
profonda intelligenza.
Conobbi Franco Farina alla fine del corso biennale d’intaglio
e restauro de legno, organizzato dalla Regione. Era il 1980, avevo 25 anni. Un
esame pro forma per concludere quella esperienza formativa che avevo con grande
passione vissuto, che si svolgeva presentando alla commissione, di cui lui era presidente,
qualche lavoro uscito da quella insolita officina. Non ricordo cosa portai, né
cosa mi disse. Non ho dimenticato però un momento divertente: quando vide un
oggetto finto antico, creato da un altro allievo (cornice, forse?), sentenziò,
in dialetto: “ Mi, a quei ac fa chi ninul lì, al di d’inquó, ac taiarìa il
man!” L’arte contemporanea era ben lungi da ciò che ci era stato insegnato..
Poi però fece fare, ad una delle ragazze con cui aprii poco
dopo la bottega Cose di legno, diverse appliqués scolpite, dorate e
antichizzate, che appese nelle sale del museo Boldini, nel Palazzo Massari. Luogo
a cui seppe, con stretegica ed intelligente intuizione, dare un’aria
ammaliante, tra i ricchi arredi e le stoffe damascate (che sole meriterebbero
un racconto), per enfatizzare le magnificenti opere di Boldini. In questo modo
sapendo ben distinguere, con la lungimiranza che gli era propria, dove e come
collocare la contemporaneità e il passato.
Ricordo bene i banchetti, decine di tavolini apparecchiati,
che si svolgevano nel salone d'onore al piano nobile, pur traballante, di
Palazzo Massari. Cosa mai vista prima di allora e che ovviamente andò in disuso
col passaggio al successivo direttore.. E’ stato anticipatore di decenni anche
in questo: i rinfreschi dentro i luoghi d'arte. Corre il pensiero, inevitabilmente,
alle attuali polemiche di una parte dell'"intellighenzia" culturale,
che s’indigna per l'apertura offerta negli ultimi anni dal Mibact a sponsor elargenti
fior di quattrini: invasioni pacifiche di musei o altri luoghi d'arte per
eventi, in cambio appunto di un lauto prezzo. Farina l’aveva già inventata
quarant’anni fa, quell’anticonvenzionale “contaminazione", parola adesso tanto
di moda.
Così come erano grandiose feste le inaugurazioni delle
grandi mostre dei Diamanti, con i tavoli imbanditi per ricchi aperitivi
nell’androne del Palazzo, affollate da ospiti illustri ed estrosi personaggi. Riflessi
vivaci e stimolanti di quella irripetituta stagione in cui Ferrara era
improvvisamente, grazie a lui, diventata uno dei luoghi all’avanguardia nel mondo
della cultura e dell’arte contemporanea.
Non ho vissuto abbastanza, e me ne rammarico moltissimo, gli eccezionali incontri e le performances da Lola e Franco offerti al pubblico
nella sala Polivalente. Forse ero troppo giovane per capire quella stagione
straordinaria e importantissima che Ferrara ha vissuto grazie a loro. Solo
alcune volte ho assaporato il piacere di trovarmi in quel delizioso teatro di
legno e, come tutti, non lo posso dimenticare e avrei tanto sperato di vederlo
riapparire.
Ricordo bene l’entusiasmo e la passione che trasparivano
dalle parole di Franco per l’altra creatura che volle con tutte le sue forze e
in cui credeva moltissimo: il Museo documentario della Metafisica, primo museo
virtuale della storia. Mentre accompagnavo, come guida turistica, le mogli dei medici ferraresi alla scoperta
della città, lo incontrammo nel museo appena nato e lui ce l’illustrò
orgogliosamente: “Chi vuole sapere tutto della Metafisica deve passare per
Ferrara”, disse.
Sappiamo tutti che la successiva totale sparizione di queste due realtà furono per lui causa di grande delusione..
Sappiamo tutti che la successiva totale sparizione di queste due realtà furono per lui causa di grande delusione..
Registrazione audio di Farina che descrive il Museo Documentario della Metafisica
Negli anni Farina è venuto affettuosamente ad ogni mia mostra, ed era un dono importante e graditissimo. A volte veniva con l'altro Franco, Don Patruno. Una coppia eccezionale, dall'intrigante fucina di battute, somma delle loro "antenne"(come Farina le definiva) che facevano loro cogliere con lucida immediata analisi l'essenza delle cose. E magari svolgere in una risata un pensiero di malinconia..
Per festeggiare i suoi ottanta anni, nel 2008 ci fu un saluto corale nel salone di Palazzo Roverella, al Circolo Negozianti. Ero presente e ho rubato un piccolo frammento video, proprio quello in cui dice quella frase simpaticissima: temeva che l'aver messo insieme più di novecento mostre più che una passione fosse il segno di una nevrosi..
Qualche anno fa lo andai a intervistare con la telecamera
per un progetto che lui apprezzó molto: la raccolta di una serie di racconti e
di ricordi di chi aveva conosciuto Anzulon Aguiari (pittore e attore ferrarese,
fondatore del Ludovico, che aveva creato un particolarissimo ed ironico
cenacolo di amici, tra cui appunto Franco e Lola, nella sua casa in Via
Carmelino).
Era già affaticato dagli anni e parlava purtroppo di come
dividere e destinare le sue cose, i tanti libri ma soprattutto
l’importantissima raccolta di opere d’arte, ricevute in dono dai grandi artisti
che avevano esposto, grazie a lui, ai Diamanti. Voleva chiudere il suo rapporto
col mondo avendo tutto previsto e sistemato. Nonostante una velata malinconia, la
sua verve usciva come sempre nelle ironiche battute, la sua illuminata visione
delle cose era riconoscibile come un tempo.
Gli avevo portato copia cartacea, conoscendo il suo deciso
rifiuto ad usare mezzi informatici, dei piccoli miei scritti pubblicati online
da Listone Mag: più volte lo avevo citato! Confermò che erano proprio le sue
esatte parole quelle che ricordavo mi avesse detto tanti anni prima: “Se
sparisse il Castello, i ferraresi se ne accorgerebbero solo perché mancherebbe
l’ombra”. Un modo quasi.. metafisico per descrivere perfettamente l’indole dei
suoi concittadini.
L’ultima volta in cui lo incontrai è stata due anni fa,
quando lui e Lola hanno accettato di posare per una mia foto per la mostra “Le
Muse quietanti", ritratti di coppie legate a Ferrara e al mondo dell'arte. È stato un grande regalo, non ero certa che avrebbero
accondisceso a questo mio desiderio. Invece mi hanno stupito ancora, giovani
senz’anni, nostre Muse a tutti gli effetti.
Un momento che mi
commuove ancora.