sabato 9 aprile 2016

Da Tallinn a Ferrara per scrivere un romanzo
















Lo incontro la prima volta all’agenzia immobiliare, alla quale si è rivolto per scegliere un appartamento in cui vivere per sei mesi nella nostra città.  E’ un signore dall’aria e dai modi distinti, quasi antichi. Magro e alto, dall’aspetto tipicamente nordico, Kalle Kasper viene da Tallinn, Estonia. Parla un italiano curioso e ci si capisce perfettamente. Con lui c’è una signora dai tratti diversi dai suoi, sapremo poi che è armena.

Decide quindi di prendere in affitto il mio piccolo appartamento. Lo scopo di questo suo lungo soggiorno è preciso: deve scrivere un romanzo e ha deciso di farlo qui.

Incuriosita, poi, cerco sul web qualcosa su di lui. La pagina wikipedia e il suo sito raccontano la sua biografia e le sue opere e del suo matrimonio con una notissima scrittrice armena. Convinta che fosse la signora che era con lui all’agenzia, rimango di stucco quando leggo che la moglie Gohar Markosjan era morta a Barcellona solo una settimana prima di questo nostro incontro.. Eppure assomigliava come una goccia d’acqua a quella signora che avevo incontrato. La somiglianza, Barcellona.. d’un tratto mi viene in mente “Professione: Reporter”!

Ma il giallo si è risolto presto: la signora era la sorella di Gohar, lo accompagnava solo in questa occasione, ed era proprio questo recentissimo lutto il motivo della loro presenza qui. Lui non poteva restare nella casa in cui aveva vissuto con colei che chiama con infinita dolcezza la sua sposa, doveva in qualche modo esorcizzare questo dolore con la scrittura di un nuovo romanzo, questa volta dedicato proprio a lei e alla loro storia.





Da subito mi rivolgo a lui usando il “tu”, mi viene d’istinto perché mi pare mi possa così capire più facilmente.   Kalle, corrispondente al nostro Carlo, invece mi dà del “voi” e questo curioso dialogo si manterrà tra noi per tutto il periodo della sua permanenza.

 Da pochi giorni il suo soggiorno, come il suo libro, è finito ed è tornato in Estonia. Ma ho voluto che mi raccontasse di più di sè e della sua storia. Per la prima volta mi è capitato di invitare a cena un mio inquilino e di essere poi da lui invitata a mia volta, ospite nel mio appartamento in affitto!

E così posso raccontare perché uno scrittore estone decide di scegliere proprio Ferrara, come luogo in cui comporre un’opera letteraria ed anche molte poesie.



“Ho scelto Ferrara perché è stata la città di Parisina Malatesta e di Torquato Tasso”, esordisce. Due motivi decisamente insoliti.  Perché Tasso e non Ariosto?
 Galeotta è stata la sua passione per l'opera lirica: innanzitutto la “Parisina d’Este” di Gaetano Donizetti, la sua opera in assoluto preferita e poi l’”Armida” di Gioacchino Rossini, ispirata alla “Gerusalemme liberata” del Tasso.. Opere poco conosciute e rappresentate, eppure di quest’ultima persino Alberto Savinio una volta ne curò la regia.  
E così si spiega pure l’uso nel dialogo dell’arcaico “voi”, come non si è più davvero abituati a sentire..

Kalle è un grande appassionato della lirica, viaggia apposta per seguire le rappresentazioni nei teatri. Anche durante i suoi sei mesi ferraresi. Questo è un altro motivo per il quale la sua scelta è ricaduta sulla nostra città: la sua posizione strategica per raggiungere facilmente Venezia, Bologna, Firenze. Anche la sua dimensione di città piccola. Nelle chances finali c’erano anche Lucca e Verona, ma la prima era troppo decentrata, nella seconda la vita troppo cara.

Ha girato un pò tutta Italia, negli anni passati, con Gohar.  Hanno visitato quaranta città, tra cui pure Ferrara. Tutti e due scrittori, avevano perfetta libertà di muoversi. 




Gohar (in armeno significa "il tesoro") era stata un medico, in Armenia. Ma sposando Kalle ed andando a vivere a Tallinn ha dovuto rinunciare alla sua professione, al suo titolo non riconosciuto. E pure subire l’ostilità delle donne estoni, che non amano che le si tradisca con gente lontana e dai tratti così diversi..

 Ma i suoi romanzi hanno avuto un grande successo. Scritti in russo, sono stati tradotti in varie lingue. C’è pure pronta una traduzione italiana di uno di essi: “Penelope”, che ebbe pure due seguiti. In attesa di un editore, l’ho potuto comunque leggere. E’ un bellissimo libro, scritto con profonda sensibilità.





Dalla lingua estone alla italiana invece è quasi impossibile trovare un traduttore. Kalle Kasper, dopo la laurea in filologia russa e in sceneggiatura, ha pubblicato diversi libri, romanzi e raccolte poetiche. Pure la saga di una famiglia estone nell’arco di un secolo, “Buridanid”, con nascosti riferimenti alla vera storia dei propri familiari e per la quale ha avuto riconoscimenti e premi. Ma non scopriremo facilmente cosa c’è scritto..

Uno dei libri di poesie che si è portato a Ferrara ne comprende una dedicata alla nostra città, la legge e cerca di tradurla per me. Racconta di Parisina e di Azzo, come Donizetti chissà perchè chiamò Niccolò III.
 


  
Quella lingua è davvero strana, musicale e assolutamente incomprensibile. E pensare che Kalle ha imparato la nostra lingua, così diversa, proprio grazie all’opera lirica.
“Ho avuto problemi con la gelosia”, mi ha detto una volta. Solo dopo un poco ho capito che la gelosia era la tapparella!





Quindi, Kalle, cosa hai scritto qui a Ferrara? Come si chiamerà questo tuo nuovo romanzo?”

“Ho composto una serie di poesie, “I canti di Orfeo” e scritto “Il miracolo”, un romanzo autobiografico sulla vita con la mia amata sposa”.

Un miracolo che non c’è stato, putroppo. Quello di salvare Gohar  dalla malattia. Che in ultima chance li aveva condotti a cercare la cura a Barcellona. Dopo gli ultimi anni, i più felici, nei quali si erano illusi che alcuni rimedi tibetani avessero debellato il male e li avevano portati a girare l’Italia, assaporandone le bellezze.





Chissà cosa si porterà di Ferrara nel cuore questo straordinario personaggio, conosciuto per un caso curioso di circostanze. La vita ferrarese gli è stata facile: immerso nei suoi pensieri, la città lo ha lasciato tranquillo. Il silenzio, d’altronde, è stato uno dei primi pregi per cui l’ha scelta.

Lo hanno stupito la presenza di tanti cani e di molte persone che chiedono l’elemosina. Mi dice: ” Estonia é molto più povero stato che l'Italia, ma in Tallinn non abbiamo tanto.”

Il bellissimo Castello, che tanto lo aveva colpito la prima volta, ormai non lo vedeva più, come un vero ferrarese.  Ma se una città è tanto ricca di bellezze che il passato le ha regalato, ancora di più si nota la bruttura delle architetture dei decenni scorsi, nota Kalle con amarezza.

Ogni mattina andava in un caffè e si collegava ad internet per comunicare con il suo mondo lontano.

“Perchè in un caffè e non in biblioteca?”

“In biblioteca ci vanno gli studenti, a me piace un luogo in cui sentirmi a mio agio".

Trovare un bar in cui i titolari fossero ben disposti a lasciare lavorare tranquillamente al proprio computer questo signore straniero non è stata una ricerca facile. Kalle mi dice che dopo poco i gestori scollegavano internet per fargli capire che il tempo era ..scaduto. Ma alla fine ha trovato il luogo giusto, il Cafè Noir, proprio di fronte al Castello.

“Ma hai detto qualcosa di te? Si saranno chiesti chi era quel signore silenzioso che ogni giorno passava ore nel proprio locale..“, curiosa gli chiedo. “No", mi dice sorridendo, “anzi, vorrei ringraziarli”..



“..la ghirlanda | Di un poeta sarà la tua corona “, scrisse Byron di Ferrara. Grazie, Kalle e arrivederci!










  





giovedì 17 marzo 2016

Piccoli paradossi ferraresi




Pare che fosse chiamato “canvìn “ (da “canva”, canapa nel nostro dialetto) il pulviscolo che si liberava nell’aria, diffondendo il polline per chilometri attorno, nel momento in cui la cannabis sativa, coltivata da antica data nelle nostre campagne, cresceva tra effluvi non proprio aromatici. "Al canvìn l'andava su pr'al nas e als tacava al sudor", raccontano le nostre nonne che questa cosa l'hanno vissuta e non la possono dimenticare.  La pianta veniva poi tagliata e lavorata, infatti, in un lavoro lungo e faticosissimo che durava tutta l’estate.  E' ritratto anche nel particolare del mese di luglio degli affreschi di Schifanoia in cui si vedono le donne con le mani affondate nell’acqua di uno stagno.   
Quando veniva messa a macerare pare che l'acqua si arricchisse di effetti terapeutici, anche se i miasmi erano davvero intensi ed irritanti per le vie respiratorie. Creando problemi di salute anche alle operaie delle fabbriche, nei due secoli scorsi, alle quali toccava il compito di  filarla. Però con le foglie tritate i contadini si facevano delle "turtione", economiche e speciali sigarette. 
Nel ferrarese, peraltro, si coltivava buona parte dell'intero quantitativo italiano di questa pianta.

 
 
Che la canapa sativa dagli infiniti utilissimi usi, purtroppo ai nostri tempi dimenticati, fosse non troppo diversa dalla canapa indica (l'indiana, molto più ricca di sostanze stupefacenti) si poteva notare anche dal comportamento dei polli, che dopo abbuffate di semi andavano barcollando qua e là per i campi. 
E che il “canvìn” producesse curiosi effetti anche sulle persone è senz’altro possibile. Addirittura nelle nostre campagne si vantava il primato di figli illegittimi, concepiti grazie a quel vento inebriante. Ne parla anche Michelangelo Antonioni, nel racconto ambientato a Ferrara di "Quel bowling sul Tevere": "Dal fiore verde della canapa esalava un polline afrodisiaco che investiva la città stordendola".


Che fosse a causa di quello che, come raccontano Maria Bellonci e diversi storici, Alfonso I d'Este ventunenne uscì in pieno giorno tutto nudo dal Castello e andò in giro per il centro con lo spadone sguainato in mano?  Chissà..

Affascinato da questa suggestione era anche Giorgio de Chirico, che ha scritto in "Memorie della mia vita” : 





Quello che più mi colpì nei ferraresi fu una specie di pazzia, più o meno latente, che ad un osservatore acuto, come sono sempre stato io, non poteva sfuggire. Oltre a questa latente pazzia, una caratteristica dei ferraresi è la mania del pettegolezzo e dell’indiscrezione; appena conoscono una persona vogliono subito sapere da dove viene, dove va, quando è nata, quale è il suo stato civile, chi sono i suoi parenti, quale è la sua situazione finanziaria, sentimentale, sessuale, ecc.  Inoltre i ferraresi sono anche terribilmente libidinosi; ci sono giorni, specialmente nell’alta primavera, in cui la libidine che incombe su Ferrara diventa una forza tale, che se ne sente quasi il rumore, come di acqua scrosciante o di fuoco divampante. Il professor Tambroni, insigne frenologo, che allora dirigeva il manicomio di Ferrara e che io conobbi, mi spiegò che questo stato anormale dei ferraresi è dovuto alle esalazioni della canapa ed alla continua umidità; infatti tutta la città è costruita su antichi maceri.

Pare che le esalazioni della canapa abbiano una particolare influenza sull’organismo umano. Ne parla anche Baudelaire nel suo libro: Piccoli poemi in prosa; quando tratta degli effetti del hascisch dice anche della canapa: “Nel periodo in cui si fa il raccolto della canapa, avvengono a volte strani fenomeni tra i lavoratori, tanto tra gli uomini che tra le donne. Si direbbe che dal raccolto salga non so quale spirito vertiginoso che circola intorno alle gambe e s’innalza maliziosamente fino al cervello. La testa dei contadini è piena di turbini, talvolta poi è carica di mezzi sogni. Le membra si accasciano e si rifiutano di servire.”


Anche Savinio ha descritto Ferrara come la città “dai mille misteri naturali”, ai quali attribuiva effetti quasi ipnotici.



Si può fantasticare che l’origine di alcune piccole o grandi stranezze che si possono riconoscere guardandoci attorno nella nostra città sia da ricercare in questi effluvi lontani..


Certo è che con alcuni paradossi o curiose follie i ferraresi ci convivono felicemente. Anche nelle parole, talvolta: la pianta femmina della canapa veniva invece chiamata al canvàz (canapone), mentre ovviamente la pianta maschio finiva con l’essere la canvèla.

Ma diverse sono le stravaganze inspiegabili, come il singolare scambiato col plurale nel nostro dialetto: un gelati, due gelato..

Ci convivono e non si accorgono, forse, nemmeno della loro esistenza.

Non posso dimenticare una frase che mi disse Franco Farina molti anni fa: “ Se sparisse il Castello, i ferraresi se ne accorgerebbero solo perché mancherebbe l’ombra”. Un modo quasi..metafisico per descrivere perfettamente l’indole dei suoi concittadini.





Il cinema a luci rosse in un'antica Cattedrale





E’ storia notissima in città quella di questo piccolo cinema, Il Mignon, su cui Massimo Alì Mohammad ha girato un delizioso film, raccontando con ironia e delicatezza questo mondo nascosto oltre la facciata di una chiesa sconsacrata. Dove, dai primi anni '80, vengono proiettati film porno tutti i giorni dell'anno, Natale compreso, per nove ore di fila. Un amico che abita proprio di fronte al cinema mi racconta che una campanella che segnala l'ingresso degli spettatori suona con ritmo costante: non è importante vedere il film dell'inizio, ma gustare quel tanto che basta..
Il binomio chiesa-film a luci rosse come perfetta contraddizione tra  osservanza religiosa e trasgressione. 

Che San Pietro, quindi, edificata nel X secolo nel cuore del Castrum bizantino, di cui era la chiesa più importante, abbia svolto per un secolo pure le funzioni di Cattedrale, tra la prima di San Giorgio e l’attuale, non impedisce a noi ferraresi di continuare a convivere allegramente e impunemente con un paradosso che non ha uguale in nessuna città al mondo.  Se l’espressione attonita dei turisti a questo racconto ci potrebbe far riflettere, invece non ci scompone affatto. Tutt'altro: siamo quasi orgogliosi di questo record. Forse perché ovunque tante chiese ormai sconsacrate hanno ora usi impropri. Qui in città la medievale San Giacomo, dove si svolgeva la veglia d'armi, è cinema anch'essa; quella che era San Nicolò di Biagio Rossetti si divide tra birre e tango e molte altre, se non chiuse e regno dei colombi, hanno comunque meste destinazioni d'uso. Nessuna purtroppo è, come in altre città avviene, sede di esposizioni culturali o artistiche. 
Ma il Mignon è il nostro paradosso insuperabile.

   
                                                            





Lo sgambetto de Il Sorpasso ad Ossessione



Uno dei film più importanti della storia del cinema, “Ossessione”, come si sa è stato girato in parte a Ferrara da Luchino Visconti, del quale in questi giorni ricorrono i quarant’anni dalla scomparsa. Alcune scene sono ambientate nel giardino di un’irriconoscibile  Piazza Repubblica ed altre nello slargo  di Via Saraceno, in cui aveva casa al numero 105 (la porta di legno è ancora la stessa) un’amica del protagonista. E’ inquadrata pure la pizzeria Orsucci, esistente dal 1936, anche se appare l'insegna Latteria, posta per esigenze filmiche.

Ma l’ambiente fulcro della scena è quello che nel 1943 era il bar Tripoli e in anni più recenti il bar Ferrara, di cui vediamo anche l’interno seguendo Clara Calamai ed infine lo slargo antistante con molte comparse attorno a  Massimo Girotti.

A Roma esistono cartelli illustrati che ricordano in quali famosi film appaiono molti angoli delle vie, perché è bello riconoscere il luogo di una inquadratura. In quello slargo di Via Saraceno non c’è nulla che ricordi che è stato il set di un film memorabile. Così pure per altri angoli ferraresi in cui sono state girate scene da De Sica, Antonioni, Vancini ed altri ancora.

Ma cosa penserebbe Visconti se vedesse riportare nell’insegna di questo locale, oggi ristorante Il Sorpasso, il titolo non del suo film che lo ha immortalato, ma quello di un film di un altro regista, Dino Risi? Che con Ferrara non ha proprio nulla a che fare? Chissà.. 



La maniglia che lo stesso Visconti volle far mettere alla porticina al numero 105 di Via Saraceno










Il pic nic sui grifoni



Dentro al Museo del Duomo sono esposte le preziose sculture che adornavano la distrutta Porta dei Mesi (o dei Pellegrini), aperta fino al XVIII secolo al centro della fiancata. Le famosissime formelle del Maestro duecentesco sono talmente preziose che una barra metallica obbliga i visitatori a non avvicinarsi ad esse a una distanza inferiore a un metro. E gli occhi attenti dei custodi li seguono come ombre. Giustissimo.

Ma ai leoni e grifoni che facevano parte della stessa Porta, opere antichissime, fragili e preziose come le loro sorelle dello stesso Maestro dei Mesi, oggi tocca una funzione ben diversa ed una dose di gran lunga inferiore di attenzione e di rispetto. Non sono nel museo dentro la chiesa sconsacrata di San Romano, ma sono rimasti all’aperto sul sagrato del Duomo.

E diventano sempre più lucidi e levigati, perché su di essi ci si può sedere, anche in diverse persone e di qualsiasi peso, fare pic nic e talvolta vengono usati come base d’appoggio per il lancio dei petardi di capodanno..
Un paradosso misterioso ed inspiegabile.


                                                               










La passerella verso il nulla



Quando venne creato il Parco Urbano, poi  divenuto Parco G.Bassani, si parlava di questo come una nuova Addizione, dopo le altre che hanno costruito nei secoli passati la città. 
Paolo Ravenna, allora e per tanti anni Presidente della sezione ferrarese Italia Nostra (Associazione storico paesaggistica che aveva tra i fondatori lo stesso Bassani ), l’aveva definita l’Addizione verde: “un unico sistema storico-ambientale che veda funzionalmente integrate le mura cinquecentesche con il territorio del Barco fino alle sponde del Po, che la città si riappropri in moderna funzione urbanistica della sua cinta, dei suoi spazi, del suo fiume” (1985). 
Una linea, reale oltre che immaginaria, doveva quindi far proseguire il rettilineo del Corso Ercole d’Este oltre la Porta degli Angeli, che, riaperta, avrebbe condotto appunto alla nuova addizione. Venne costruita a questo scopo una passerella metallica, un passaggio sospeso che, usciti dalla Porta, facesse superare il vallo del sottomura e permettesse ai passanti di accedere al parco. 

Poi si decise di lasciare chiusa la Porta (non si sa mai che Cesare d’Este rientrasse!) ma la passerella era già stata costruita. E tale resta, immobile e perenne nella sua assurdità. Perché non serve assolutamente a niente, interrompendosi dopo pochi metri di fronte alla strada. Naturalmente non è nemmeno percorribile, ma chi potrebbe desiderarlo? In fondo è solo una passerella di metallo brillante a ridosso delle mura rinascimentali che porta verso il nulla. Non siamo forse la città della Metafisica?









Il cartello che non s’ha da fare



Tutti i turisti che vengono a Ferrara vogliono visitare Palazzo Schifanoia. Giustamente, perché é un capolavoro. E dal Castello si addentrano per le vie medievali, via Mazzini, via Saraceno e arrivano al punto cruciale. Cartina alla mano si piantano in mezzo alla strada e cercano di capire per dove girare. Già, perché un misero cartello che li aiuti a capire di girare per via Borgo di Sotto non s’ha da fare, evidentemente, come il matrimonio di Renzo e Lucia. Perché non si spiega altrimenti perché in quel punto strategico da un decennio ormai sia stato piantato un palo, ma il cartello su di questo non appaia. A chiedere lumi sul perché di questa assenza dalle imperscrutabili motivazioni ci provano le guide turistiche, da anni. Ci provano gli abitanti della zona, estenuati dal dover rispondere alla continua ripetizione della stessa timida domanda: “Scusi, per Palazzo Schifanoia?”, attaccando a muri e porte fogli A4 con la freccia che indica il palazzo. Ma nulla smuove la determinatezza della nostra amministrazione a lasciare il dubbio della svolta. Come avvolto dal mistero è il senso del cartello, quello sì ben piantato sul palo, che fa bella mostra di sé alla fine di Via Vittoria ed indica Porta Paola dal lato opposto a quello in cui si trova. Non è dato sapere quale percorso volessero suggerire coloro i quali hanno ideato questa segnaletica, molti anni fa. Forse c’era un residuo di "canvìn" nell’aria?




                                                                                







L’insegna metafisica dei tabacchi



La loggia dei Merciai è già di per sé un bel paradosso, con quella serie di negozi di abbigliamento, calzature e gioielli.. incorporati nella fiancata della Cattedrale. Mica da tutti!  

Anni fa faceva bella mostra di sé sotto il campanile una serie molto chic di mutande e reggiseni. La scritta luminosa Champion risalta un tantinino di meno da quando finalmente è stata illuminata la straordinaria fiancata con il doppio ordine di logge.

Gesù scacciò i mercanti dal Tempio, e invece qui il Tempio affitta da secoli le botteghe. Tant’è.

Ma quel tabaccaio che ebbe il favore di piantare la sua bella T a bandiera nella fiancata della loggia, quanti anni fa è esistito? L’insegna che indica il negozio pare decisamente intoccabile (forse perché ormai anch’essa d’epoca?), anche se non sarebbe peregrino dubitare della sua pertinenza con la costruzione.. 
Ma quello che la rende deliziosamente paradossale è appunto l’assoluta assenza da tempo immemorabile della rivendita n.7 di sali e tabacchi che l’insegna indica.









Si potrebbe inserire nell'elenco delle stranezze ferraresi anche la presenza dei campi da tennis nel giardino della Palazzina di Marfisa d'Este. Sicuramente un caso raro e curioso quello di un'area sportiva dentro un contesto rinascimentale. Ma, come è stato più volte giustamente considerato anche in passato, il Tennis Club Marfisa fa parte della storia della letteratura e del cinema italiano, grazie a Bassani ed Antonioni..

 Altri PPF, piccoli paradossi ferraresi, saranno certamente da aggiungere a questa, in fondo, amorevole lista.
Se riusciamo ad accorgercene però, perché potremmo non notarli affatto, abituati alla loro presenza. Come per il Castello e la sua ombra..










mercoledì 2 marzo 2016

Nessie e la Metafisica

Ri(creiamo) il Museo virtuale della Metafisica ferrarese?

Da Lochness al Muvig gli esempi non mancano: noi l'avevamo già fatto nel 1982 

 

 


 




Chi è stato a Edimburgo sa quanto gli scozzesi amino il loro paese e vadano fieri delle sue attrattive, per lo più paesaggistiche e naturalistiche.
Tutta la Scozia è disseminata di cartelli che indicano ai turisti, con dovizia di particolari, ciò che può essere fonte d’interesse durante i molti percorsi suggeriti: dalle indicazioni, con binocoli e cannocchiali a disposizione, per avvistare la fauna selvatica, alla offerta di visite all’interno di distillerie, o naturalmente per segnalare la presenza e raccontare la storia di castelli e di edifici antichi.
Reali o leggendarie, le meraviglie della Scozia sono ovunque orgogliosamente comunicate. Sapendo bene quanto questo amore per il proprio Paese abbia poi fruttuosi riscontri economici.

In una freddissima vacanza là, diversi anni fa, mi sono ritrovata ad assistere, dentro un “museo” ad hoc dal salatissimo biglietto, ad un filmato dedicato a Nessie, il tanto famoso quanto improbabile mostro di Loch Ness.  Un video noiosissimo, in cui si viaggiava tra le alghe del fondo del lago, ovviamente senza vedere altro che quelle. Eppure un continuo flusso turistico visita quel museo virtuale e arricchisce le casse scozzesi.








E’ finita da qualche mese a Ferrara la mostra straordinaria che ha riportato in città, dopo giusto un secolo, i capolavori pittorici della Metafisica nati qui negli anni della prima guerra mondiale. Prestiti di importanti musei lontani o di privati, che in qualche caso torneranno purtroppo, dopo la fine della seconda tappa a Stoccarda della stessa esposizione (ancora in corso fino ad inizio luglio prossimo), nel buio di caveaux di banche svizzere, invisibili per chissà quanti altri decenni.

E’ stata una mostra giustamente di grande successo, che con amarezza si è dissolta, lasciandoci solo un bellissimo catalogo e molte recensioni sui media.




Altre due importanti mostre a Palazzo dei Diamanti dedicate a De Chirico erano già avvenute, qui a Ferrara, nei decenni passati, con la presenza dello stesso pittore: la prima mostra del 1970:
  “I De Chirico di De Chirico”, e la seconda nel 1985, “Atelier”, composta dai quadri provenienti dalla vasta collezione della moglie Isabella Far.

In quello stesso anno, per il seicentenario della nascita del Castello Estense, venne ancora una volta ricordato lo stretto legame della nostra città con la pittura metafisica, realizzando in tridimensione i manichini delle Muse inquietanti. Questo grande quadro-scultura fu realizzato su progetto di Paolo Portoghesi, ricreando l'emblematica opera metafisica su un piano inclinato posizionato nel fossato del Castello. 
                                                      





Nel frattempo, una decina d'anni dopo la prima mostra dedicata al grande pittore, il Maestro Franco Farina, direttore ed ideatore di questa Galleria d’Arte Moderna, aveva, tra mille altre intuizioni intelligenti e anticipatrici (che portarono Ferrara a un livello di notorietà internazionale per queste esposizioni), creato il “Museo documentario della Metafisica". Dato che Ferrara non possedeva e non possiede - fatta eccezione per diverse opere di De Pisis - nessuno dei quadri che De Chirico, Savinio e Carrà dipinsero, oltre a Morandi ed altri che poi si aggiunsero, allora, pensò, perché non creare un museo senza originali, ma comunque interessante in quanto documentava con completezza le testimonianze di quel periodo della storia dell'arte? E così il 16 gennaio del 1982, all’interno del Palazzo Massari, che da allora fece parte di questo Quartiere d’Arte moderna, venne inaugurato questo singolare museo, composto da 300 opere, di cui 130 a formato naturale. 
E venne pubblicato un importante volume con studi di Maurizio Calvesi, Giovanna della Chiesa, Ester Coen, con interpretazioni delle simbologie e delle tematiche metafisiche e raffronti tra le moltissime immagini.
Ricordo le parole di Farina, nelle sale del Palazzo Massari che ospitavano questa sua pinacoteca immaginaria: “Chi vuole sapere tutto sulla Metafisica deve passare per Ferrara”.
Fu il primo museo virtuale in assoluto, in cui erano riprodotti a grandezza reale in diacolor (diapositive retroilluminate) tutti i quadri che potevano rappresentare questa corrente artistica che si formò proprio nella nostra città. 
               








In quegli anni, inoltre, una mostra didattica itinerante che partiva proprio dal museo ferrarese e prodotta dalla Quadriennale di Roma, venne esposta in diverse città del mondo, pur essendo costituita solo da riproduzioni e materiale audiovisivo:

 


Sappiamo che il museo dopo diversi anni venne chiuso e i pannelli abbandonati in qualche magazzino, fin quando il fragile materiale non fu irrimediabilmente distrutto. Ancora oggi Farina ripensa con orgoglio alla sua “creatura” e con dispiacere alla sua ingloriosa fine. La stessa sorte toccò alle Muse realizzate da Portoghesi, quando dopo qualche mese di esposizione l'allestimento, davvero riuscito e non dimenticato, venne smontato e sparì chissà dove.

Se è comprensibile che la funzione divulgativa del Museo documentario a quei tempi avesse ben altra valenza di quanto possa averne ora, nell’era informatica e ipermediale in cui molta parte dell’approccio alla conoscenza di un argomento è possibile velocemente e semplicemente attraverso ricerche su internet, è altrettanto vero che un'eventuale presenza a Ferrara di una testimonianza anche solo virtuale di quel che è accaduto artisticamente nella nostra città ne arricchirebbe ulteriormente l’offerta turistica. Sarebbe facilitata dall'ampia offerta di supporti fotografici odierni, come è accaduto per la  bellissima mostra dedicata a Michelangelo Antonioni alcuni anni fa al Palazzo dei Diamanti, che era in gran parte costituita da un viaggio multimediale tra molte immagini e sequenze di films riprodotte su grandi schermi.  E non avrebbe limiti di sorta, in quanto la presenza di riproduzioni di tutte le inerenti opere d’arte sparse per il mondo potrebbe integrare e completare la ricerca storica, insieme ai documenti e agli intelligenti studi comparativi creati anche per questa recente esposizione.
Potrebbe essere semplicemente un esauriente audiovisivo, come fonte di studio a lato delle opere esposte nel Museo dell'800 e '900 ferrarese, a Palazzo Massari, quando finalmente verrà riaperto.






Proprio nei giorni scorsi è stato inaugurato un piccolo museo, Muvig, a Canaro (Rovigo), dove, oltre ad un unico dipinto originale di Benvenuto Tisi, sono esposte le principali opere del maestro di Garofalo sparse per il mondo, riprodotte in schermi ad altissima definizione di ultima concezione:

                                                                              


La luce che emanano i colori a olio dipinti sulle tele originali dà una emozione certamente non paragonabile a qualsiasi immagine fotografica, ma almeno resterebbe un suggerimento, un promemoria, un racconto di sicuro interesse per i turisti che verranno a visitare la nostra città in futuro.

I quali ovviamente non avranno la straordinaria opportunità di vedere le opere esposte nella mostra e nemmeno potranno forse più reperirne il catalogo cartaceo. Se non consulteranno il sito web del Palazzo dei Diamanti, forse ignoreranno persino che questa esposizione sia mai esistita.

E magari neppure immagineranno le origini ferraresi di questa corrente pittorica..



Potesse Edimburgo vantare i natali di un importante periodo artistico, penso che non mancherebbe di farlo conoscere in mille modi..
Sarà pur la Metafisica intrigante e misteriosa almeno quanto Nessie?
Una cosa è certa: è molto più affascinante.


Link .. quasi metafisico al museo da decenni inesistente, segnalato come ancora presente:
 http://www.emmeti.it/Arte/ER/ProvFerrara/Ferrara/m_arte_moderna_e_con.it.html