giovedì 17 marzo 2016

Piccoli paradossi ferraresi




Pare che fosse chiamato “canvìn “ (da “canva”, canapa nel nostro dialetto) il pulviscolo che si liberava nell’aria, diffondendo il polline per chilometri attorno, nel momento in cui la cannabis sativa, coltivata da antica data nelle nostre campagne, cresceva tra effluvi non proprio aromatici. "Al canvìn l'andava su pr'al nas e als tacava al sudor", raccontano le nostre nonne che questa cosa l'hanno vissuta e non la possono dimenticare.  La pianta veniva poi tagliata e lavorata, infatti, in un lavoro lungo e faticosissimo che durava tutta l’estate.  E' ritratto anche nel particolare del mese di luglio degli affreschi di Schifanoia in cui si vedono le donne con le mani affondate nell’acqua di uno stagno.   
Quando veniva messa a macerare pare che l'acqua si arricchisse di effetti terapeutici, anche se i miasmi erano davvero intensi ed irritanti per le vie respiratorie. Creando problemi di salute anche alle operaie delle fabbriche, nei due secoli scorsi, alle quali toccava il compito di  filarla. Però con le foglie tritate i contadini si facevano delle "turtione", economiche e speciali sigarette. 
Nel ferrarese, peraltro, si coltivava buona parte dell'intero quantitativo italiano di questa pianta.

 
 
Che la canapa sativa dagli infiniti utilissimi usi, purtroppo ai nostri tempi dimenticati, fosse non troppo diversa dalla canapa indica (l'indiana, molto più ricca di sostanze stupefacenti) si poteva notare anche dal comportamento dei polli, che dopo abbuffate di semi andavano barcollando qua e là per i campi. 
E che il “canvìn” producesse curiosi effetti anche sulle persone è senz’altro possibile. Addirittura nelle nostre campagne si vantava il primato di figli illegittimi, concepiti grazie a quel vento inebriante. Ne parla anche Michelangelo Antonioni, nel racconto ambientato a Ferrara di "Quel bowling sul Tevere": "Dal fiore verde della canapa esalava un polline afrodisiaco che investiva la città stordendola".


Che fosse a causa di quello che, come raccontano Maria Bellonci e diversi storici, Alfonso I d'Este ventunenne uscì in pieno giorno tutto nudo dal Castello e andò in giro per il centro con lo spadone sguainato in mano?  Chissà..

Affascinato da questa suggestione era anche Giorgio de Chirico, che ha scritto in "Memorie della mia vita” : 





Quello che più mi colpì nei ferraresi fu una specie di pazzia, più o meno latente, che ad un osservatore acuto, come sono sempre stato io, non poteva sfuggire. Oltre a questa latente pazzia, una caratteristica dei ferraresi è la mania del pettegolezzo e dell’indiscrezione; appena conoscono una persona vogliono subito sapere da dove viene, dove va, quando è nata, quale è il suo stato civile, chi sono i suoi parenti, quale è la sua situazione finanziaria, sentimentale, sessuale, ecc.  Inoltre i ferraresi sono anche terribilmente libidinosi; ci sono giorni, specialmente nell’alta primavera, in cui la libidine che incombe su Ferrara diventa una forza tale, che se ne sente quasi il rumore, come di acqua scrosciante o di fuoco divampante. Il professor Tambroni, insigne frenologo, che allora dirigeva il manicomio di Ferrara e che io conobbi, mi spiegò che questo stato anormale dei ferraresi è dovuto alle esalazioni della canapa ed alla continua umidità; infatti tutta la città è costruita su antichi maceri.

Pare che le esalazioni della canapa abbiano una particolare influenza sull’organismo umano. Ne parla anche Baudelaire nel suo libro: Piccoli poemi in prosa; quando tratta degli effetti del hascisch dice anche della canapa: “Nel periodo in cui si fa il raccolto della canapa, avvengono a volte strani fenomeni tra i lavoratori, tanto tra gli uomini che tra le donne. Si direbbe che dal raccolto salga non so quale spirito vertiginoso che circola intorno alle gambe e s’innalza maliziosamente fino al cervello. La testa dei contadini è piena di turbini, talvolta poi è carica di mezzi sogni. Le membra si accasciano e si rifiutano di servire.”


Anche Savinio ha descritto Ferrara come la città “dai mille misteri naturali”, ai quali attribuiva effetti quasi ipnotici.



Si può fantasticare che l’origine di alcune piccole o grandi stranezze che si possono riconoscere guardandoci attorno nella nostra città sia da ricercare in questi effluvi lontani..


Certo è che con alcuni paradossi o curiose follie i ferraresi ci convivono felicemente. Anche nelle parole, talvolta: la pianta femmina della canapa veniva invece chiamata al canvàz (canapone), mentre ovviamente la pianta maschio finiva con l’essere la canvèla.

Ma diverse sono le stravaganze inspiegabili, come il singolare scambiato col plurale nel nostro dialetto: un gelati, due gelato..

Ci convivono e non si accorgono, forse, nemmeno della loro esistenza.

Non posso dimenticare una frase che mi disse Franco Farina molti anni fa: “ Se sparisse il Castello, i ferraresi se ne accorgerebbero solo perché mancherebbe l’ombra”. Un modo quasi..metafisico per descrivere perfettamente l’indole dei suoi concittadini.





Il cinema a luci rosse in un'antica Cattedrale





E’ storia notissima in città quella di questo piccolo cinema, Il Mignon, su cui Massimo Alì Mohammad ha girato un delizioso film, raccontando con ironia e delicatezza questo mondo nascosto oltre la facciata di una chiesa sconsacrata. Dove, dai primi anni '80, vengono proiettati film porno tutti i giorni dell'anno, Natale compreso, per nove ore di fila. Un amico che abita proprio di fronte al cinema mi racconta che una campanella che segnala l'ingresso degli spettatori suona con ritmo costante: non è importante vedere il film dell'inizio, ma gustare quel tanto che basta..
Il binomio chiesa-film a luci rosse come perfetta contraddizione tra  osservanza religiosa e trasgressione. 

Che San Pietro, quindi, edificata nel X secolo nel cuore del Castrum bizantino, di cui era la chiesa più importante, abbia svolto per un secolo pure le funzioni di Cattedrale, tra la prima di San Giorgio e l’attuale, non impedisce a noi ferraresi di continuare a convivere allegramente e impunemente con un paradosso che non ha uguale in nessuna città al mondo.  Se l’espressione attonita dei turisti a questo racconto ci potrebbe far riflettere, invece non ci scompone affatto. Tutt'altro: siamo quasi orgogliosi di questo record. Forse perché ovunque tante chiese ormai sconsacrate hanno ora usi impropri. Qui in città la medievale San Giacomo, dove si svolgeva la veglia d'armi, è cinema anch'essa; quella che era San Nicolò di Biagio Rossetti si divide tra birre e tango e molte altre, se non chiuse e regno dei colombi, hanno comunque meste destinazioni d'uso. Nessuna purtroppo è, come in altre città avviene, sede di esposizioni culturali o artistiche. 
Ma il Mignon è il nostro paradosso insuperabile.

   
                                                            





Lo sgambetto de Il Sorpasso ad Ossessione



Uno dei film più importanti della storia del cinema, “Ossessione”, come si sa è stato girato in parte a Ferrara da Luchino Visconti, del quale in questi giorni ricorrono i quarant’anni dalla scomparsa. Alcune scene sono ambientate nel giardino di un’irriconoscibile  Piazza Repubblica ed altre nello slargo  di Via Saraceno, in cui aveva casa al numero 105 (la porta di legno è ancora la stessa) un’amica del protagonista. E’ inquadrata pure la pizzeria Orsucci, esistente dal 1936, anche se appare l'insegna Latteria, posta per esigenze filmiche.

Ma l’ambiente fulcro della scena è quello che nel 1943 era il bar Tripoli e in anni più recenti il bar Ferrara, di cui vediamo anche l’interno seguendo Clara Calamai ed infine lo slargo antistante con molte comparse attorno a  Massimo Girotti.

A Roma esistono cartelli illustrati che ricordano in quali famosi film appaiono molti angoli delle vie, perché è bello riconoscere il luogo di una inquadratura. In quello slargo di Via Saraceno non c’è nulla che ricordi che è stato il set di un film memorabile. Così pure per altri angoli ferraresi in cui sono state girate scene da De Sica, Antonioni, Vancini ed altri ancora.

Ma cosa penserebbe Visconti se vedesse riportare nell’insegna di questo locale, oggi ristorante Il Sorpasso, il titolo non del suo film che lo ha immortalato, ma quello di un film di un altro regista, Dino Risi? Che con Ferrara non ha proprio nulla a che fare? Chissà.. 



La maniglia che lo stesso Visconti volle far mettere alla porticina al numero 105 di Via Saraceno










Il pic nic sui grifoni



Dentro al Museo del Duomo sono esposte le preziose sculture che adornavano la distrutta Porta dei Mesi (o dei Pellegrini), aperta fino al XVIII secolo al centro della fiancata. Le famosissime formelle del Maestro duecentesco sono talmente preziose che una barra metallica obbliga i visitatori a non avvicinarsi ad esse a una distanza inferiore a un metro. E gli occhi attenti dei custodi li seguono come ombre. Giustissimo.

Ma ai leoni e grifoni che facevano parte della stessa Porta, opere antichissime, fragili e preziose come le loro sorelle dello stesso Maestro dei Mesi, oggi tocca una funzione ben diversa ed una dose di gran lunga inferiore di attenzione e di rispetto. Non sono nel museo dentro la chiesa sconsacrata di San Romano, ma sono rimasti all’aperto sul sagrato del Duomo.

E diventano sempre più lucidi e levigati, perché su di essi ci si può sedere, anche in diverse persone e di qualsiasi peso, fare pic nic e talvolta vengono usati come base d’appoggio per il lancio dei petardi di capodanno..
Un paradosso misterioso ed inspiegabile.


                                                               










La passerella verso il nulla



Quando venne creato il Parco Urbano, poi  divenuto Parco G.Bassani, si parlava di questo come una nuova Addizione, dopo le altre che hanno costruito nei secoli passati la città. 
Paolo Ravenna, allora e per tanti anni Presidente della sezione ferrarese Italia Nostra (Associazione storico paesaggistica che aveva tra i fondatori lo stesso Bassani ), l’aveva definita l’Addizione verde: “un unico sistema storico-ambientale che veda funzionalmente integrate le mura cinquecentesche con il territorio del Barco fino alle sponde del Po, che la città si riappropri in moderna funzione urbanistica della sua cinta, dei suoi spazi, del suo fiume” (1985). 
Una linea, reale oltre che immaginaria, doveva quindi far proseguire il rettilineo del Corso Ercole d’Este oltre la Porta degli Angeli, che, riaperta, avrebbe condotto appunto alla nuova addizione. Venne costruita a questo scopo una passerella metallica, un passaggio sospeso che, usciti dalla Porta, facesse superare il vallo del sottomura e permettesse ai passanti di accedere al parco. 

Poi si decise di lasciare chiusa la Porta (non si sa mai che Cesare d’Este rientrasse!) ma la passerella era già stata costruita. E tale resta, immobile e perenne nella sua assurdità. Perché non serve assolutamente a niente, interrompendosi dopo pochi metri di fronte alla strada. Naturalmente non è nemmeno percorribile, ma chi potrebbe desiderarlo? In fondo è solo una passerella di metallo brillante a ridosso delle mura rinascimentali che porta verso il nulla. Non siamo forse la città della Metafisica?









Il cartello che non s’ha da fare



Tutti i turisti che vengono a Ferrara vogliono visitare Palazzo Schifanoia. Giustamente, perché é un capolavoro. E dal Castello si addentrano per le vie medievali, via Mazzini, via Saraceno e arrivano al punto cruciale. Cartina alla mano si piantano in mezzo alla strada e cercano di capire per dove girare. Già, perché un misero cartello che li aiuti a capire di girare per via Borgo di Sotto non s’ha da fare, evidentemente, come il matrimonio di Renzo e Lucia. Perché non si spiega altrimenti perché in quel punto strategico da un decennio ormai sia stato piantato un palo, ma il cartello su di questo non appaia. A chiedere lumi sul perché di questa assenza dalle imperscrutabili motivazioni ci provano le guide turistiche, da anni. Ci provano gli abitanti della zona, estenuati dal dover rispondere alla continua ripetizione della stessa timida domanda: “Scusi, per Palazzo Schifanoia?”, attaccando a muri e porte fogli A4 con la freccia che indica il palazzo. Ma nulla smuove la determinatezza della nostra amministrazione a lasciare il dubbio della svolta. Come avvolto dal mistero è il senso del cartello, quello sì ben piantato sul palo, che fa bella mostra di sé alla fine di Via Vittoria ed indica Porta Paola dal lato opposto a quello in cui si trova. Non è dato sapere quale percorso volessero suggerire coloro i quali hanno ideato questa segnaletica, molti anni fa. Forse c’era un residuo di "canvìn" nell’aria?




                                                                                







L’insegna metafisica dei tabacchi



La loggia dei Merciai è già di per sé un bel paradosso, con quella serie di negozi di abbigliamento, calzature e gioielli.. incorporati nella fiancata della Cattedrale. Mica da tutti!  

Anni fa faceva bella mostra di sé sotto il campanile una serie molto chic di mutande e reggiseni. La scritta luminosa Champion risalta un tantinino di meno da quando finalmente è stata illuminata la straordinaria fiancata con il doppio ordine di logge.

Gesù scacciò i mercanti dal Tempio, e invece qui il Tempio affitta da secoli le botteghe. Tant’è.

Ma quel tabaccaio che ebbe il favore di piantare la sua bella T a bandiera nella fiancata della loggia, quanti anni fa è esistito? L’insegna che indica il negozio pare decisamente intoccabile (forse perché ormai anch’essa d’epoca?), anche se non sarebbe peregrino dubitare della sua pertinenza con la costruzione.. 
Ma quello che la rende deliziosamente paradossale è appunto l’assoluta assenza da tempo immemorabile della rivendita n.7 di sali e tabacchi che l’insegna indica.









Si potrebbe inserire nell'elenco delle stranezze ferraresi anche la presenza dei campi da tennis nel giardino della Palazzina di Marfisa d'Este. Sicuramente un caso raro e curioso quello di un'area sportiva dentro un contesto rinascimentale. Ma, come è stato più volte giustamente considerato anche in passato, il Tennis Club Marfisa fa parte della storia della letteratura e del cinema italiano, grazie a Bassani ed Antonioni..

 Altri PPF, piccoli paradossi ferraresi, saranno certamente da aggiungere a questa, in fondo, amorevole lista.
Se riusciamo ad accorgercene però, perché potremmo non notarli affatto, abituati alla loro presenza. Come per il Castello e la sua ombra..










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